domenica 21 agosto 2016

Memorie del passato.

Appena adesso ho trovato questo pezzo di passato, tra tutti i miei innumerevoli scritti.
Non è un ricordo proprio bello, ma non si può cambiare la vita come ci pare e piace. Cancellerei quell'anno con tutto il cuore, ma cancellando il brutto cancellerei anche i bello.
La vita ha gli alti e i bassi, chissà perchè i bassi toccanto tutti a me?
Questi erano i miei sentimenti allora e lo sono tuttora.
Chissà se cambierò mai, un giorno.
Non credo proprio.


Premessa

Questo racconto è basato su delle sensazioni che ho provato io, nell’avere mio figlio vicino, anche nei momenti difficili.
Il suo amore mi ha molto aiutato e, quando lo guardo negli occhi questo sentimento così enorme, immenso, torna a spadroneggiare nel mio cuore.
Io credo che anche lui provi per me questo ‚amore‘ quasi maniacale, in cui io mi rifletto.
Il fatto che mio figlio Bruno abbia solo nove mesi, non m’impedisce di credere che lui non capisca quello che gli succede attorno, anzi, sono certa che lui sia consapevole, cosciente di quello che fa, che pensa, ma ignora com’esprimere questo suo modo di essere: a parte i suoi sorrisi da orecchia ad orecchia; il suo modo di sgranare gli occhioni per la sorpresa o la felicita, i suoi mugolii di piacere o di protesta secondo i casi e il suo pianto isterico ogni qual volta si sente trascurato, dimenticato, solo.
I bambini sono un mondo meraviglioso da scoprire, non dobbiamo per forza catalogare il loro comportamento; non tutto di loro è spiegabile scientificamente: a volte basta solo un pò d’amore perché si riesca a capirli veramente.
Questo mio racconto non vuole essere pretenzioso, è solo la sensazione di una madre che, vanitosamente, crede di leggere le emozioni nascoste di suo figlio. Forse perché riflette in lui il suo immenso desiderio d’amare e/o, d’essere amata, come farebbe, o vorrebbe lei.
                                                                                    
27/04/1998 Francesca D.Brancato



Pensiero di bimbo


   Mi rotolavo sul tappeto ai piedi di mia madre che scriveva un racconto che nessuno avrebbe mai letto o, figurarsi tanto meno, pubblicato.
   Mia sorella maggiore Teresa, mi sollevò da terra ma ben presto, come tante altre volte, mi rimise fra i piedi della mamma che nonostante tutto vigilava su di me. Dovunque io andavo, dovunque io fossi, i suoi occhi erano come dei radar incollati su di me.
   Mio fratello Giovanni giocava ad uno stupido gioco al computer, quel rumore assordante, molesto, insopportabile, feriva le mie sensibili orecchie in un crescendo di suoni striduli: bum bum, tam tam, bit bit.
   La scarpa di mia sorella Angela, negligentemente lasciata per terra, mi sembrava un gioco abbastanza divertente. La battevo a terra, a destra e a sinistra, la portavo alla bocca succhiandone i lacci e provandone un immenso piacere nell’inumidire con la mia saliva, quel lungo serpentello nero che senza di me, sarebbe rimasto inerte fino a quando mia sorella non avrebbe deciso di rimettersi le scarpe.
   Mi sentii afferrare alle spalle, non ne fui particolarmente spaventato, mi succedeva tante di quelle volte al giorno che oramai non ci facevo quasi caso. Angela mi sollevò girandomi e rigirandomi come una trottola, dopo poco, stanca di quel gioco mi rimise a terra. Felice afferrai uno dei giocattoli di mio fratello; lo portai alla bocca con vigore. Non calcolandone la potenza, il Dottor Piranoid, mi sbatté violentemente sul muso.
   Piansi, non solo per il dolore, quanto per quell’assalto improvviso da parte di quel giocattolo, ora mio acerrimo nemico, che mi scappò dalle mani.
   Mia madre mi prese allora fra le sue amorevoli braccia, baciandomi, coccolandomi e vezzeggiandomi, come faceva ogni volta che qualcuno o qualcosa mi portava alle lacrime.
Mi chiedo come fa quella matta donna a scrivere, leggere, cantare, guardare la TV e badare a me; e tutto in una volta! Mah! I misteri della vita!
   Al suo fianco stavo tranquillamente rosicchiando una matita quando di botto, la mamma me la strappò di mano, suscitando la mia stizza. Con mani leggere mi asciugò le lacrime che erano ritornate nei miei occhi. La guardai, come facevo sempre ogni qual volta lei, mi teneva stretto.
Chissà, forse anche lei prova per me quello che io provo per lei; sicuramente il suo amore è grande quanto al mio.
Le sono grato per essere quello che è: così affettuosa, così strana, e nella sua stranezza così completa; così mamma.
Ha rischiato la sua vita, quando sono nato; non ha potuto allattarmi, ma non per questo l’amo di meno, anzi, mi rendo conto che questa simbiosi le è mancata moltissimo.
Quella brutta malattia che stava per portarsela via, fortunatamente è sotto controllo; o, è stato forse l’amore quasi morboso che mia madre nutre nei confronti di tutti i suoi figli che l’ha tenuta in vita?
   All’ospedale, in quell’angusta e solinga cameretta, le sue lacrime si sono unite alle mie lacrime; i suoi gemiti ai miei vagiti, il suo immenso amore al mio immenso amore.
   Io le ho trasmesso la voglia di continuare a vivere, dopo che lei mi ha dato, la vita. Io le ho dato la forza di continuare in questa vita, dopo che lei della vita mi ha dato l’inizio.
E adesso, calma e dolcissima, mi stringe al suo petto e mi coccola carezzandomi la testa di riccioletti biondi, mentre immergo i miei occhi azzurri nei suoi occhi castani, sgranati di felicità.
Mio padre, appoggiato allo stipite della porta, ci guarda sornione; sorride consapevole e complice, chissa, forse un po’ geloso, del nostro grande amore.
Fra poco la mamma mi darà la pappa e poi, dritto di filato a nanna. Spero di sognarla questa notte perché è l’unica che mi dia conforto facendomi sentire tranquillo. Domani al mio risveglio la gratificherò con uno dei miei sorrisi a quattro denti, lei mi sorriderà e mi abbraccerà forte forte, baciandomi con impeto, e tutto questo anche se saranno solo le quattro di mattina.
   Penso, perché ‘io’ penso, che sono innamorato di lei. Sarà sempre la mia amata, la prima donna a cui ho aperto e donato il mio cuore.
   Questa notte sono felice, perché sento le sue labbra calde e dolci su di me, mi sfiorano delicatamente, mi sta baciando: veglia su di me come fará per tanto, tantissimo tempo ancora. Guardando la sveglia, mi solleva dolcemente e depositandomi sul suo seno mi sussurra lievemente in un orecchio con la sua voce che mi appare come una dolcissima melodia: “Sono le ventidue e quarantasette amore mio: auguri per i tuoi primi nove mesi.”




                                                                                FINE

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